(Riflessione sulla lettera dell’Arcivescovo)
Un appello affinché non si dimentichi quanto si è vissuto e perché il «nulla sarà più come prima» non rimanga solo una frase fatta.
L’Arcivescovo nell’introduzione pone le parole di San Carlo Borromeo nel Memoriale ai milanesi del 1579, scritto dopo la devastante peste del 1576..
“Amatissimi figlioli, dobbiamo sempre procurar di aver davanti agli occhi l’opera di Dio, non solamente nelle prosperità, ma anco nelle avversità.. Così che in ogni cosa benedirlo e rendergli grazie.. Come questa situazione, d’aver finalmente estinta la pestilenza che ha cominciato a flagellar Milano e in tante parti la sua diocesi..”
Nella tragedia San Carlo invita a riprendere il coraggio del cammino, caratterizzato dalla conversione: tanto soffrire, tanto morire, tutto sarebbe sperperato se i milanesi tornassero alla vita di sempre, con la stoltezza di chi dimentica il dramma. L’arcivescovo, con la sua lettera, invita allora a chiedere il dono della sapienza che ci aiuti a vivere, da saggi, il nuovo tempo che viene.
In che cosa consiste la sapienza? È il nome di un’arte, di uno stile di vita, che comincia dal lasciarsi ammaestrare dalla situazione. Questo vuol dire, anzitutto, cogliere le domande radicali che la realtà che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo porta con sé. La ricerca della sapienza è come il dotarsi di una bussola, che non esime dalla fatica del cammino, ma che piuttosto, spinge a muoversi senza smarrirsi.
Essa invita a tornare all’essenziale; abbiamo vissuto mesi con esperienze di segregazione e, in alcuni casi, di prostrazione. Vivere con sapienza vuol dire rendersi conto della nostra bellezza e insieme della fragilità, significa rendersi conto che ciascuno di noi ha bisogno costantemente di cura. Come a dire che la condizione del vivere non è quella della prestazione, della performance, quanto piuttosto dell’incontro, della sollecitudine reciproca. l’Arcivescovo ci inviti anche a cogliere l’opportunità di fare i conti con il limite che noi siamo e della domanda di salvezza che sale dalla vita stessa.
Della sapienza ne sottolinea un aspetto: è un dono e, allo stesso tempo, un compito. È un dono che viene dall’alto, da invocare nella preghiera. Insieme, però, la nostra preghiera non può essere autentica senza la consapevolezza di un esercizio che ci coinvolge personalmente.
E in questo cammino, condizione è l’amicizia. La sapienza non si costruisce in maniera individualistica, ma sempre in un esercizio di dialogo, di incontro.
In conclusione: nella sua lettera per l’anno pastorale prossimo un invito a far emergere le domande profonde che interpellano la nostra fede e il nostro vivere quotidiano: “..Che cosa è successo? Come siamo diventati? Quale potrà essere il volto della nostra Chiesa? Cosa dovremmo cambiare, quali scenari per le nostre famiglie, la scuola, il lavoro, la salute? ..”
E così conclude l’Arcivescovo: “Propongo che la ripresa sia prima che un tempo di programmazione un esercizio di discernimento e di comprensione di quanto abbiamo vissuto..”
Don Alessandro