Luigina Mortari, docente all’Università di Verona, commenta il messaggio per la Giornata della pace centrato sul concetto di cura, «di cui il Buon Samaritano è l’esempio perfetto»: «Occorre avere un atteggiamento diverso verso la vita: occhi per vedere il bisogno e cuore capace di rispondere»
«Cura» (del Creato, della dignità della persona, del bene comune) è la parola-chiave del Messaggio del Papa per la 54esima Giornata mondiale della pace (1 gennaio). Ma come declinare questa visione all’interno del pensiero di papa Francesco e, soprattutto, in questo momento? A rispondere è Luigina Mortari, docente di Epistemologia della ricerca alla Scuola di Medicina dell’Università di Verona: «Questo scritto di papa Francesco arriva in un momento adatto, si potrebbe dire, per l’esperienza di pandemia che stiamo vivendo e che sta muovendo le coscienze verso la consapevolezza che qualcosa di profondo deve cambiare: occorre avere un atteggiamento diverso verso la vita. Abbiamo vissuto un’esistenza costruita sul principio dell’efficienza e dell’affermazione di sé, dimenticandoci le cose essenziali, tra cui ciò a cui tutti siamo chiamati, che è proprio la cura. È una sapienza antica, questa, basta rileggere Platone. Non si tratta di una visione interioristica, ma al contrario impegnata per l’esistenza: è una cura dell’anima che è anche cura delle virtù. Non a caso, sulle virtù il Papa ha proposto interventi importanti per riportare al centro della nostra attenzione un modo di vivere differente, ispirato a direzioni dell’essere che abbiamo dimenticato. Tanto che, oggi, non è certo di moda parlare di virtù».
Infatti al punto 4 il Papa cita Gesù, il Buon Samaritano…
Sì, colui che si china sull’uomo ferito, medica le sue piaghe e si prende cura di lui. Questo è il passaggio della parabola che cito ogni volta che parlo di cura, perché è proprio l’esempio di cosa significhi “dare cura”, la prontezza a stare dalla parte dell’altro che ha bisogno, sapendo vedere questo stesso bisogno. Papa Francesco richiama anche la “compassione”, perché si dice che il Buon Samaritano vide l’uomo ed ebbe compassione e, dopo che ebbe compassione, si prese cura di lui. La questione di fondo è che l’altro ha sempre bisogno di noi e tutti noi, nella nostra fragilità e vulnerabilità, abbiamo bisogno degli altri, trovando così un senso nel prendersi cura gli uni degli altri.
Forse più che la parola «cura», che rimanda a un ambito sanitario, potremmo dire che la definizione di questo concetto complessivo è l’I care…
In italiano abbiamo solo una parola che dice cura, mentre gli inglesi hanno il termine cure che è dedicato, appunto, alla cura farmacologia e clinica e care che definisce un significato più ampio. Così pure anche il greco antico utilizzava più parole. Noi abbiamo perso anche le parole per dire le cose importanti».
Il Papa avvia il suo Messaggio proprio dai mesi che abbiamo vissuto e, nel primo paragrafo, dice: «Duole constatare che, accanto a numerose testimonianze di carità e di solidarietà, prendono purtroppo nuovo slancio diverse forme di nazionalismo e razzismo, xenofobia, guerre e conflitti che seminano morte e distruzione». Insomma, non c’è solo la pandemia…
Certo, infatti, è significativo leggere anche il passaggio dove il Papa richiama il concetto di bene comune. Ciò che abbiamo perduto è l’attenzione al bene come qualche cosa che è comune a tutti. La cultura occidentale pare che si sia dimenticata di pensarlo e quelli che parlano del bene sono considerati spesso “buonisti”, sentimentalisti e non persone consapevoli. Il problema è concettualizzare una tale visione in modo che il bene sia pensato come cosa che riguarda tutti, perché non esiste il mio bene individuale, ma quello dell’altro insieme a me. La cura vicendevole è questo.
Così si promuoverebbe anche la pace a livello interpersonale, di rapporti di buon vicinato per arrivare ai livelli alti, internazionali. Se «siamo tutti sulla stessa barca», come disse il Papa, è interessante che lui stesso parli proprio di questa cura come di una bussola…
Penso a Emmanuel Lévinas, il quale dice che dobbiamo prestare attenzione all’orfano, alla vedova, ma con la capacità di vedere la fragilità in tutti, perché ci sono fragilità evidenti, importanti, forti, ma ci sono anche quelle invisibili che riguardano ognuno. Ciò che possiamo fare in questo momento è di avere attenzione l’uno per l’altro, avere occhi per vedere quello di cui l’altro ha bisogno e avere il cuore capace di rispondere. Questa è la solidarietà.